Chi come me è nato negli anni ’80 è cresciuto con l’idea che la buona volontà, un’ottima preparazione ed uno spiccato senso del dovere (assieme ad un pizzico di fortuna) sarebbero bastati per esaudire le aspettative professionali che i nostri genitori nutrivano nei nostri confronti. L’irrefrenabile desiderio di “sistemarsi” e, nonostante gli inevitabili up & down, di essere professionalmente appagati. Un lavoro che calza a pennello, che rispecchia le nostre attitudini, possibilmente ben pagato e non lontano dalla nostra dimora ci avrebbe assicurato un futuro sereno per 40 anni.
Non è solo un problema di mancanza di lavoro. Spesso il lavoro, anche se c’è, ci costringe a misurarci con ritmi frenetici, obiettivi disumani, un concetto di flessibilità snaturante e omologante, capi e colleghi irritanti, contenuti inconsistenti, allontanandoci sempre di più da noi stessi. Nelle aziende c’è ormai una sorta di masochismo dilagante che vede nell’andare oltre-la-propria-zona-di-comfort la prova di forza cui sono sottoposti i dipendenti.
Le scelte a questo punto sono due: c’è chi resta fedele al sistema perché ormai non ne sa fare a meno o perché ha la fortuna di essere appagato da un lavoro che lo gratifica, o chi è costretto a restarci ancorato perché ha una famiglia e un mutuo da pagare. E poi c’è chi, invece, vuole e può riappropriarsi della sua zona di comfort, per il quale il richiamo e il ritorno alla parte più autentica di se stessi è più forte di tutto, delle convenzioni sociali, delle opinioni della gente, della routine.
E di qui parte l’avventura di chi molla tutto e decide di fare il giro del mondo. Lo si fa per cercare delle risposte, per mettere a tacere le proprie inquietudini, per sperimentare nuovi modi di vivere e diverse forme di comunicazione, per conoscere altro da sé. Non so se alla fine del viaggio si torni con delle risposte o con le stesse domande del giorno della partenza. Non ha importanza, per me resta stra-ordinario chi decide di darsi una chance per crearsi nuovi orizzonti.
Questo è il mio orizzonte. Ingegnarmi per trovare un’alternativa a ciò che è già scritto, a ciò che è più facile e immediato. Avere la possibilità di trascorrere una vita piena di significato, orientata verso ciò che amiamo fare. La resa non è certa, ma, se è vero che ognuno di noi possiede già la capacità di cui ha bisogno per realizzarsi, dobbiamo solo capire dove guardare.
Questo blog è un luogo d’incontro per chi agisce e per chi fornisce l’ispirazione.
Giada B.
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APPASSIONATOPosted on2:01 pm - Giu 6, 2014
è vero.. leggendo un illuminante pensiero come questo, comprendo quanto siamo passivi nei confronti del nostro bene più prezioso, il tempo che abbiamo a disposizione.
La voglia di fare qualcosa che lasci un segno.. la voglia di sentire notizie diverse al telegiornale, notizie che non ci fanno vergognare di essere italiani.. La critica passiva e la voglia di distruggere fine a se stessa, non servono più a niente e a nessuno.
Qualche parole in meno e qualche azione in più, è questa la nostra missione.
Chi può, deve avere il coraggio, la forza ma soprattutto la responsabilità di rompere le catene che ci tengono schiavi del nostro cedolino o della nostra posizione…e FARE come ci suggerisce questo post.
Grazie Giada B. sono con te!
gabriellaPosted on11:13 am - Giu 6, 2014
….da persona che un giorno ha deciso di saltare su un treno in corsa pensando che forse quel treno non sarebbe mai più ripassato, dico che chiunque abbia una passione, un’idea, un’aspirazione, un semplice pensiero che gli frulla per la mente, se può, deve far di tutto per provare a realizzarlo….mal che vada si capirà un domani di essere saliti sul treno sbagliato….però è importante averlo fatto altrimenti rimarrà per sempre una voce nel nostro cervello che ci dice che magari potevamo avere l’opportunità di cambiare la nostra vita e invece… In bocca al lupo a tutti!