Tra la Great Resignation e la Great Restauration vince la Great Reorganization

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E’ probabile che dietro al fenomeno della Great Resignation, ossia delle “Grandi Dimissioni”, ci sia anche il tentativo di reagire al fenomeno della Great Restauration, la “Grande Restaurazione” con cui alcune aziende stanno tentando di ripristinare gli schemi lavorativi pre-pandemia.

Ma quanti dipendenti resterebbero felicemente nelle proprie aziende se qualcosa cambiasse? Quanti resterebbero se ci fosse una Great Reorganization, una riorganizzazione della cultura aziendale incentrata sull’uomo, in cui il lavoro è costruito attorno alla vita dei dipendenti e non viceversa?

Una cultura aziendale “umano-centrica”

Costruire una cultura aziendale veramente “umano-centrica” non è semplice. Richiede l’adozione di una nuova mentalità attraverso cui i lavoratori siano giudicati in base ai loro risultati e non in base a quante ore in un giorno lavorino.

Soprattutto in Italia, non celebrare più i “maniaci del lavoro” e “gli eroi della mezzanotte” significherebbe un vero salto culturale e la scomparsa di comportamenti radicati da decenni.

Ma lo stiamo vedendo in questi mesi, per le aziende che non riescono a reinventare la propria cultura organizzativa la posta in gioco è molto alta. Le organizzazioni che si aggrappano ai vecchi metodi e schemi stanno facendo molta fatica a trattenere il talento e a reclutarlo.

Già in fase di talent attraction, le aziende che continuano a pubblicizzare le proprie opportunità, parlando esclusivamente di lavoro stimolante e di percorsi di crescita ambiziosi, ottengono meno clic di quelle che promuovono attivamente flessibilità di tempi e spazi, vantaggi inclusivi e mobilità interna.

Dalla flessibilità alla felicità

Una cultura aziendale incentrata sull’individuo significa anche una cultura aziendale più equa, con cui poter ad esempio prevedere politiche di flessibilità, anche per quei lavori che non possono essere svolti da remoto. Per i quali è necessario ipotizzare altre soluzioni di flessibilità ad esempio settimane lavorative compresse, una maggiore pianificazione e ottimizzazione dei tempi, ed evitare così disparità di trattamento tra lavoratori.

Una cultura aziendale “umano-centrica” significa anche passare da un approccio unico per tutti all’idea che i dipendenti possano avere esigenze diverse. Alcuni desiderano disperatamente tornare in ufficio. Altri non tornerebbero mai più. Molti vogliono avere la possibilità di scegliere quando e dove lavorare.

Le aziende che saranno in grado di conferire ai dipendenti l’autonomia necessaria per prendere le decisioni più adatte alle loro esigenze avranno un chiaro vantaggio competitivo.

Fanno capolino così nella cultura aziendale due concetti nuovi, quello di felicità e quello di benessere. Una Reorganization in cui al centro del processo decisionale ci sia il “caring”, il “prendersi cura”, per ridurre il burnout e aumentare la felicità sul lavoro.

Giada

Giada Baglietto

Ho lavorato nella più autorevole azienda in Italia di recruiting on line e successivamente all’interno della divisione Human Resources di due importanti aziende leader di settore. Oggi vivo a Milano e lavoro su progetti di selezione, formazione e sviluppo, collaborando con aziende, società di formazione, uffici placement e privati. Digital/social recruiting, employer/personal branding sono la mia passione!

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